CAPITOLO QUARTO

La Madonna e la Grande Madre

 

        IV. 1. L'archetipo.

 L'archetipo rappresenta l'immagine primitiva, originale e, pur non avendo una struttura reale, non riferendosi cioè ad un'entità concreta esistente nel tempo e nello spazio, ha una sua struttura interna, un suo ambito simbolico e mitico.

Il campo d'azione dell'archetipo è la psiche, e, la forza che da esso scaturisce, il carattere simbolico dell'immagine che esso evoca, è così intenso da imprimersi nella coscienza. Come scrive Jung, «Si potrebbe definire appropriatamente l'immagine originaria come intuizione che l'istinto ha di se stesso o come auto raffigurazione dell'istinto…»1.

L'archetipo diventa comprensibile alla coscienza, mediante l'acquisizione della valenza simbolica, ovvero diviene visibile per la coscienza attraverso il simbolo, nel quale l'attività dell'inconscio si manifesta capace di attingere la coscienza2.

Sia l'archetipo che i simboli che esso racchiude, sono formati da una componente contenutistica e una dinamica. Tali componenti, a loro volta, agendo sulla psiche, attirano la coscienza che li elabora e li interpreta. Naturalmente, mediante questo processo psichico, la coscienza formula idee, pensieri e concetti, che derivano dal simbolo contenuto dall'archetipo. La componente contenutistica in parte nell’archetipo, secondo Jung, è un "trasformatore di energia"3 che innesca nell'inconscio tutti i meccanismi per comprendere e codificare il simbolo.

L'archetipo era presente sin dai tempi della preistoria, così ad esempio Neumann parla di quello “della via”. Gli uomini preistorici, spinti dalla parte inconscia della loro psiche, arrivavano attraverso vie tortuose, all'interno delle caverne montane per costruirvi santuari e sacrificare gli animali, gesto che serviva a scongiurare ogni pericolo e a preservare l'esistenza dell'uomo. Quest'archetipo si è conservato nel tempo e infatti, in ogni parte della terra, gli uomini si sono spinti, in cammino, per fede, in luoghi remoti, spesso difficili da raggiungere. In stadi di civiltà più avanzati, “l'archetipo della via” ha acquisito nuovi significati e nuovi simboli. L'uomo moderno ha, per lo stesso motivo dell'uomo preistorico, compiuto molto cammino in pellegrinaggi e processioni, in onore di divinità o santi. Nella religione cristiana, ad esempio, è presente la "via Crucis", la via diventa Dio stesso e l'archetipo si ripropone ancora più interiorizzato, sotto forma appunto, di "via interiore", che agisce e prende forma nella coscienza stessa4.

L'archetipo è costituito da una serie illimitata di forme, immagini, simboli e concetti che si combinano tra di loro, si intersecano, si amalgamano e ripropongono, in modo spesso inconscio, il mito primordiale, l'immagine primitiva, l'originale. Oltre ad avere quindi, una "eterna presenza", l'archetipo è costituito da una forte "polivalenza simbolica"5. Le sue manifestazioni sono, inoltre, calate in un contesto storici determinato, dipendono dal popolo, dalla razza, ma anche dall'individuo stesso e dalla sua attività psichica, conscia o inconscia che sia.

Tramite l'esempio “dell’archetipo della via", possiamo comprendere quanto sia complicato rintracciarne l'aspetto primitivo, "l'originale", poiché ogni singola figura da esso scaturita, fa parte di un'enorme cerchia simbolica, ricca di elementi positivi e negativi, forze polivalenti, dualità, molteplicità, il tutto intrecciato in un'essenza che potremmo definire paradossale, fatta di termini spesso opposti ma inscindibili.

Cercheremo di basare l'analisi strutturale, sull'archetipo della "Grande Madre", che rientra nella simbologia più vasta e importante dell'archetipo del Femminile6.

 

IV. 2. L'Archetipo della Grande Madre.

 L'archetipo della Grande Madre, e la simbologia ad esso collegata, trova il suo campo specifico nella storia delle religioni, scrive Jung: «Possiede una quantità pressoché infinita di aspetti. Citerò solo alcune delle forme più tipiche: la madre e la nonna personali, la matrigna e la suocera, qualsiasi donna con cui esiste un rapporto (la nutrice o la bambinaia, l'antenata e la Donna Bianca). In un senso più elevato, figurato: la dea, in particolare la madre di Dio, la vergine (come madre ringiovanita, per esempio Demetra e Core), Sophia (come madre-amante, eventualmente anche del tipo Cibele-Attis, o come figlia/madre ringiovanita-amante); la meta dell'anelito di redenzione (paradiso, regno di Dio, Gerusalemme celeste). In senso più lato: la Chiesa, l'università, la città, la patria, il cielo, la terra, il bosco, il mare e l'acqua stagnante, la materia, il mondo sotterraneo e la luna. In senso più stretto: i luoghi di nascita o di procreazione - il campo, il giardino, la roccia, la grotta, l'albero, la fonte, il pozzo profondo, il fonte battesimale, il fiore come ricettacolo (rosa e loto) ; il cerchio magico… In senso ancora più stretto: l'utero, ogni forma cava, il forno, la pentola; diversi animali: la mucca, la lepre e ogni animale soccorrevole in genere»7.

Tutti i simboli collegati alla Grande Madre, si riallacciano alle proprietà del "materno", che contengono in nuce, una duplice natura, positiva e negativa, quella della "madre amorosa" e della "madre terribile". Aggiunge a tal proposito Jung: «La magica autorità del femminile, la saggezza e l'elevatezza spirituale che trascende i limiti dell'intelletto; ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita; l'istinto o l'impulso soccorrevole; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; l'abisso, il mondo dei morti; ciò che divora, seduce, intossica; ciò che genera, angoscia, l'ineluttabile»8.

Neumann spiega inoltre che, nel comprendere e descrivere la struttura dell'archetipo del femminile, e più specificatamente della Grande Madre, bisogna usare il metodo della "psicologia morfologica comparativa"9 che, attraverso lo studio della storia delle religioni, dell'etnologia, dell'archeologia e della preistoria, arriva a interpretare i singoli simboli che permettono la comprensione dell'archetipo e che prendono forma nell'inconscio collettivo, sviluppandosi in motivi mitologici rituali. E' infatti possibile rintracciare figure primordiali archetipiche, in diversi popoli e in tutti i tempi, esse possono nascere spontaneamente e inconsciamente anche nel singolo individuo e in tempi moderni, nella coscienza dell'uomo. Per questo motivo l'archetipo è "eternamente presente" e "universalmente umano"10.

Bisogna a questo punto fare una distinzione tra l'uomo primitivo e quello moderno. Nel primo, il simbolo legato all'archetipo, non solo rafforza la coscienza, ma la forma; nel secondo invece, compensa la sopravvalutazione della coscienza11.

Ritornando all'archetipo del femminile, è importante sottolineare che, l'idea di un'entità superiore, era basata, nell'antichità, su caratteristiche propriamente femminili come la riproduzione, la fertilità e  la protezione nutritiva.

Dall'uomo primitivo, Homo sapiens, e per moltissimo tempo, dal 30000 a.C. al 3000 a.C. circa, l'umanità ha fatto ricorso alla "Dea Unica"12. Dal 3000 a.C. ad oggi, si è imposta nell'immaginario collettivo, la figura del Dio maschio, che ha assorbito in se qualità del tutto femminili, come quella della creazione e del dare la vita, mentre alla dea, è stato dato il ruolo di madre, o sposa o sorella del Dio, o come avviene per la religione cattolica, di Madre vergine. Tutto ciò sembra coincidere con i vari processi economici e socio-politici che, in diversi momenti della storia, hanno investito l'umanità13.

Vittime della vita che cambia, la dea, e di riflesso la donna, hanno perso l'originario potere, poiché la società si è trasformata in "patriarcale" e l'uomo ha acquisito maggior importanza a causa del controllo dei mezzi di produzione, del mestiere delle armi, del diritto di proprietà. Insomma, la cultura patriarcale si è imposta su quella matrilineare e la "Dea preistorica", e con essa la donna, sono divenute inferiori, sottomesse al Dio e all'uomo.

Sembra chiaro dunque, che il concetto di Dio rispecchi la società e l'uomo che, a sua volta, tende a rappresentarlo a sua immagine e somiglianza e a modellarlo in base ai propri bisogni e timori.

Per analizzare l'imponente figura della Grande Madre, bisogna partire, secondo Neumann, dall'archetipo antichissimo dell'Uroboro, l'immagine del serpente circolare che si morde la coda14. Tale archetipo contiene in se, elementi positivi e negativi, la tipica dualità simbolica, e rappresenta il "Grande Cerchio", in cui coesistono elementi femminili e maschili da cui, in un secondo tempo, si estrapolarono la figura del "Grande Padre" e " della "Grande Madre". L'Uroboro rappresenta quindi, l'archetipo primordiale indifferenziato che, manifestatosi nella coscienza, è arrivato, attraverso l'elaborazione degli elementi simbolici in esso contenuti, alla prefigurazione della Grande Madre. Quest'ultima, è costituita da elementi opposti, la madre buone e quella terribile e può agire in modo opposto: positivo, quando offre protezione, nutrimento e calore; negativo, quando si rifiuta, attraverso la privazione, di elargire il suo nutrimento.

Essendo l'archetipo femminile intriso di dualità, bisogna rintracciare due caratteri fondamentali, che Neumann chiama: carattere "elementare" e carattere "trasformatore15.

L'animo ha inoltre, tendenze ermafrodite, nella struttura umana maschile è possibile rintracciare, infatti, sempre a livello inconscio, un esperienza interiore del femminile e, la stessa cosa avviene, nella donna, rispetto all'esperienza maschile. Il carattere femminile è tutto ciò che è contenuto nel Grande Cerchio  della Grande Madre Uroborica, è un'essenza inconscia, contrassegnata dal "contenere16. Anch'esso vive di parti opposte, ma è caratterizzato dal materno, ovvero, da un aspetto stabile, conservatore. Visibilmente può essere espresso attraverso i simboli della luce, della luna o del sole ma, di contro, lo stesso simbolismo porta ad inghiottire ogni aspetto positivo mediante l'opposto, ovvero le tenebre della notte, l'abisso, la caverna. Tutto ciò rappresenta la controparte, la madre terribile, che divora attraverso un doppio simbolismo, la madre buona, che preserva la vita.

Il carattere trasformatore invece, agisce all'opposto, è in contrasto con il principio di conservazione della vita, col legame madre-figlio proprio del carattere elementare del femminile e ha un dinamismo interno in cui riproduce il grande cerchio del serpente Uroborico ma, allo stesso modo, in nome della tensione da esso scaturita, produce altri movimenti, altri simboli e forze, come se il grande cerchio, non solo si trasformasse al suo interno ma, si trasformasse in una grande ruota che gira su se stessa, generando, ma anche divorando, tutto ciò che sta intorno.

Il carattere trasformatore del femminile -spiega Neumann- porta movimento e inquietudine17. In ogni caso, questi due caratteri si compenetrano, formando un'unità fatta a sua volta di opposizioni, di antiche ambivalenze tra bene e male. A differenza dell'uomo, la donna ha una struttura umana in continuo mutamento, infatti, dalla trasformazione della propria struttura nasce il bambino, un'altra creatura.

Lo sviluppo psico-biologico del femminile, comprende un simbolismo molto più acuto di quello maschile, quello del sangue. Attraverso il sangue, la fanciulla diventa donna tramite la mestruazione e, la stessa gravidanza, prende forma da questo simbolismo del sangue. La nascita del feto, a sua volta, conclude il processo di trasformazione della donna in madre, e così, le radici dell'archetipo del femminile, cambiano radicalmente, subendo un lungo processo di trasformazione in cui entra in gioco il carattere elementare mediante l'attribuzione alla madre, delle funzioni di nutrire, proteggere, riscaldare, di fondare insomma, una profonda relazione con il figlio.

Ancora una volta subentra il simbolismo del sangue, che diventa latte, fondamento questo, come spiega Neumann, dei misteri primordiali della trasformazione del cibo18. Oltre al carattere elementare, che rispecchia l'Io inconscio del femminile, compare il carattere trasformatore, che, sempre a livello inconscio, attira l'animo in una rete fatta di stimolo atti ad agire verso l'esterno, ponendosi come un non-Io.

La donna che riesce a comprendere e ad interiorizzare il carattere trasformatore, è dominata dal carattere elementare, si presenta, quindi, come Grande Madre, come nutrice. Quando in uno stadio più avanzato, si abbandona al carattere trasformatore, rimuovendo inconsciamente quello elementare, perde le proprietà matriarcali, proiettandosi verso l'esterno, verso il mondo, verso il campo socio-economico che è proprio dell'uomo, del Padre archetipico che produce, mediante il lavoro, la sicurezza e la sussistenza per i figli. Analizzando tutto ciò, poniamo le basi per la comprensione dell'archetipo della Grande Madre che, nascendo dall'Uroboro primordiale, si sviluppa e accresce basandosi sul carattere elementare e su quello trasformatore. A loro volta i due caratteri sono opposti e complementari, e hanno entrambi una duplice natura, buona e cattiva, positiva e negativa, nutrice e divoratrice, nutrice e divoratrice, amorosa e terribile.

Alla base di tutto ciò, esiste un punto centrale che racchiude ogni dualità, un simbolo, quello del "Vaso". Tale simbologia è presente sin dall'antichità, il corpo della donna è percepito come un vaso, che racchiude al suo interno qualcosa di oscuro, di sconosciuto. Nel corpo-vaso della donna esiste una parte interna, inconscia, e una parte che proietta e racchiude in se l'esterno, il mondo circostante. Anche la simbologia del vaso deriva dall'Uroboro primordiale che, possedeva in se nel grande cerchio, una totalità indifferenziata che era contenuta in una cavità, in un grande vaso.

L'essere più simile al simbolo del grande vaso è la donna, il suo corpo-vaso, permette la penetrazione dell'uomo e l'accoglimento del bambino in grembo, inoltre, in quanto contenitore, ha le proprietà del proteggere e del nutrire, simboli propri del femminile. Questo è il motivo per cui, le forme elementari della vita, avevano carattere matriarcale, poiché, come spiega Neumann, i miti, i riti, le religioni dell'umanità primitiva, basavano i

loro principi su una chiara formula simbolica : donna = corpo = vaso = mondo19.

Da qui nasce la superiorità che per molto tempo ha accompagnato la figura femminile, generando una serie di pratiche religiose volte all'adorazione della Dea Unica, Grande Madre. Nelle civiltà antiche la donna costituiva l'elemento chiave per la sopravvivenza e l'organizzazione sociale della comunità. La preistoria è ricca di elementi che comprovano una profonda religiosità verso la Dea Unica.

Negli scavi archeologici operati in insediamenti del paleolitico superiore euroasiatico20, sono stati rintracciati una serie di elementi che richiamano il concetto di divinità femminile, questi sono costituite principalmente da piccole statuette, fatte di diversi materiali. Queste elaborazioni concettuali e iconografiche, sono state realizzate da uomini primitivi per poter esprimere nella loro religiosità, il concetto del divino. Successivamente, nel periodo compreso tra il 30000 e il 27000 a.C., mediante la tecnica dell'incisione, furono scolpite nella roccia, sulle pareti delle caverne, figure di animali e anche, dato importantissimo, figurazioni di vulve femminili, espressione di una cultura che durerà dall'aurignaciano e per tutto il paleolitico superiore21.

Nei siti francesi di Langerie-Basse e Trou-Magrite, furono rintracciate, nel 1864, le prime due "Veneri Paleolitiche" e, da allora, sono state trovate, 500 figure femminili dell'epoca paleolitica e 30000 del neolitico22. La caratteristica fondamentale che da tali studi archeologici si evince, è che a differenza delle rappresentazioni figurative degli animali, ritratti in modo assolutamente verosimigliante, le statuette femminili appaiono quasi grottesche, con tratti morfologici deformati, di dimensione sproporzionata, soprattutto nei punti tipici femminili ovvero: seni, fianchi, natiche e triangolo pubico23. Le posizioni in cui vengono ritratte sono anch'esse particolari, le braccia molto spesso circondano il ventre gravido, oppure sono intrecciate sui seni, o altre volte non vengono raffigurate24. Allo stesso modo, appaiono molto spesso senza testa, o col volto coperto da una maschera che raffigura un animale, l'uccello solitamente.

Per quanto queste antiche civiltà abbiano lasciato pochissimi segni per rintracciare la spiritualità religiosa da esse praticata, risulta chiaro che le statuette femminili ritrovate negli scavi archeologici, per il fatto che rappresentino donne gravide e dalle parti intime esagerate, facciano riferimento alla funzione procreatrice del femminile, con un chiaro ma complesso simbolismo, che va associato al proprio tempo storico e ad una società naturalistica quale era quella dell'uomo preistorico.

Come scrive Rodriguez: «Le statuette femminili del paleolitico potranno essere "arte" per noi, ma la loro importanza cruciale risiede nella loro qualità di testimoni muti, oltre che simboli centrali, del primo sistema di credenze religiose strutturate che plasmò la psicologia umana. I concetti, i segni e simboli che l'umanità paleolitica collegò alla fertilità, alla generazione  e al femminile, avrebbero posto la base che permise di ideare le prime formulazioni circa l'esistenza di una divinità datrice della vita e protettrice. Nel corso di più di venti millenni, non vi fu altro dio che la Dea paleolitica; e durante vari millenni ancora essa,attraverso le sue invocazioni, ha continuato a dominare l'espressione religiosa delle differenti culture del continente euroasiatico e del Vicino Oriente»25.

I popoli la cui religiosità dominante era basata sulla Dea unica, hanno comunque lasciato, una portata duratura nel tempo più di qualsiasi altra religione, un segno indelebile nella psiche occidentale.

 

IV. 3. La Dea Unica, Grande Dea e Grande Madre.

 Da un attento studio delle culture preistoriche euroasiatiche, si evince che, la potenza, la forza procreatrice dell'universo, la sua figura cosmogonica centrale, come spiega Rodriguez «era incarnata da una figura di donna e il suo potere di generare e proteggere, simboleggiato da attributi femminili»26.

L'enorme significato cultuale che accompagna le espressioni di rappresentazione della Grande Madre, costituisce, come scrive lo stesso Neumann «un esempio del dominio del matriarcale, indipendentemente dal fatto che in quest'epoca il gruppo maschile abbia, in una qualsiasi misura, esercitato potere (ad esempio come gruppo di cacciatori) sulle donne»27.

Tra la miriade di sculture femminili pervenuteci dall'epoca primitiva, solo cinque raffigurano figure maschili. Appaiono generalmente semplici, e non sembrano contenere alcun fondamento cultuale. Chiaro, quindi, che nella storia delle religioni il Dio, inteso come divinità maschile, compare in epoca più tarda, successiva a quella in cui domina il concetto di Dea madre. Nelle stesse raffigurazioni antiche domina il tema della Grande Madre dal carattere elementare, con il rispettivo potere generatone e nutritore, inoltre la rappresentazione del ventre fecondo e delle mammelle gonfie in modo esagerato, ripropongono la simbologia del corpo-vaso. Il corpo è, infatti, il centro della rappresentazione, per questo motivo queste statuette sono spesso prive del volto o della testa o di braccia. Queste figure informi, che simboleggiano l'archetipo della Grande Madre, sono rappresentazioni della Dea della fertilità e, allo stesso modo, le molte raffigurazioni di animali, oltre che di umani, attestano che l'archetipo del femminile è considerato la madre di tutti gli esseri viventi28.

L'uomo rimane dunque, completamente fuori dalla grandezza del simbolismo dell'archetipo del femminile. La ragione è rintracciabile, come spiega Neumann, nel concetto di vergine legato alla Grande Madre: «Tale concezione basilare matriarcale non pone in relazione la nascita del bambino con il rapporto sessuale. Ciò appare comprensibile, in particolare in una società primitiva, in cui la vita sessuale è promiscua e inizia prima della maturità sessuale. La continuità di tale vita personale sessuale viene interrotta in modo imprevisto dall'inizio e dalla fine delle mestruazioni, così come dalla gravidanza. Entrambi i fenomeni si svolgono nell'intimo della sfera matriarcale-femminile… Per tale ragione la donna è messa incinta sempre da una potenza extraumana, non personale»29.

La Grande Dea era dunque partenogenica, cioè capace di generare la vita a partire da se stessa, e con ciò acquistò immenso potere all'interno della funzione divina. Molto spesso invece, le dee dell'antichità, venivano rappresentate insieme ad animali, cervidi di solito, poiché avevano una simbologia precisa. Le corna doppie, proprie di questo tipo di animale, simboleggiano potenza e abbondanza, cadono infatti all'inizio della primavera e, come per magia, rinascono ad aprile, crescendo così velocemente da tornare alla loro forma originaria a luglio.

Tutto ciò ha un enorme carico simbolico e metaforico, poiché si riallaccia alla rinascita e ricrescita stagionale del mondo naturale. Questo spiega perché molte dee dell'antichità, come Era30, avevano come animale consacrato al loro culto, la cerva, o anche la stessa Artemide31, che secondo la leggenda si tramutava essa stessa in cerva32. In epoca più tarda, nel neolitico, anche l'orsa acquistò importanza di culto. Venne associata alla Dea Partoriente per il fatto che soleva rintanarsi nelle caverne al principio dell'inverno e, ne usciva, prima della stagione primaverile, insieme ai cuccioli33.

Tutto ciò in epoca primitiva doveva acquistare una enorme valenza simbolica. La caverna, simboleggiava l'utero della dea e il ritorno dal letargo, percepito come periodo di morte accompagnato dalla natura intera, ritorna all'abbondanza grazie alla comparsa dei cuccioli34.

Così come per gli animali, anche l'acqua aveva, per le civiltà primitive, una forte valenza simbolica. Nelle antiche cosmologie è presente, molto frequentemente, l'immaginazione di un universo primigenio completamente ricoperto dall'immensità acquatica. Ancora una volta è la Dea ad avere un posto d'onore. In diverse credenze infatti, come in molti racconti mitici, si parla di figure di donne che, grazie ai loro prodigiosi seni, hanno permesso al mondo di galleggiare sulle acque, o ancora, la Grande Dea viene rappresentata sotto forma di uccello acquatico o di serpente. Allo stesso modo, in India, i fiumi con il loro tortuoso corso, simboleggiano la dea. L'acqua dei fiumi ha, infatti, una duplice e opposta valenza simbolica, può irrigare e fertilizzare le terre, ma anche inondarle e distruggerle35.

Anche nella religione cattolica esistono analogie con il simbolismo dell'acqua. Il sacramento del battesimo, racchiude la metafora di rinascita e rigenerazione, lo stesso fonte battesimale è riconosciuto dai cristiani, come "l'utero di Maria"36. Inoltre, l'ubicazione di molti santuari mariani in prossimità di grotte da cui sgorgano fonti o di corsi d'acqua, richiamano il simbolismo di base della Dea Preistorica. La Chiesa cattolica ha acquisito e trasformato, un antico patrimonio di tradizione popolare di culto della Dea Unica.

Appare chiaro, arrivati a questo punto, che la prima rappresentazione divina affacciatasi all'umanità, ebbe le sembianze di una figura femminile. La Dea Madre onnipotente, rappresentò per moltissimo tempo il principio generatore dell'universo, in grado di controllare il principio della vita ma anche della morte, rendendo possibile la rigenerazione attraverso attributi tipici del femminile, quali: la capacita di generare, accudire e nutrire, non solo la vita umana, ma anche la vita dell'intero pianeta e del cosmo.

Tutto ciò è difficilmente comprensibile ai giorni nostri, poiché noi siamo figli di un tempo che non è ciclico ma lineare. Il tempo ciclico era un tempo arcaico, legato alle stagioni ai raccolti, alle fioriture, all'osservazione del movimento degli astri nella volta notturna, a rituali di morte e rinascita37. Un tempo ormai mitico quello ciclico, dominato dal movimento dinamico, da grandi cerchi uroborici, da serpenti che si ritorcono su se stessi, da alte maree, da corna di cervi che cadono e si rigenerano, da semi, da germogli.

Tutto ciò è ormai irrevocabilmente scomparso ma, è bene non dimenticare, che la religione della Dea Unica, della Grande Madre nutrice, fu universale fino a pochi millenni fa38. L'utero divino dal quale tutto nasce e al quale tutto ritorna, ciclicamente, segue il grande movimento della natura. La Grande Madre, al pari della natura, anzi dominando la natura stessa, fu per molti secoli il fulcro dell'antica religiosità, fino a che un tempo lineare, che prevede un inizio e una fine del mondo ben determinata, in cui il tempo stesso finirà di scorrere per sempre senza possibilità di rigenerazione39, ha scalzato l'antica concezione ciclica.

Le nuove religioni, monoteismo cristiano-giudaico e Islam, hanno imposto al mondo un nuovo concetto di dio, quello del Dio uomo, che ha acquisito su di se il principio femminile del generare nutrire e proteggere, relegando la Grande Madre, e con essa la donna, in un ruolo subordinato.

 

IV. 4. La Vergine Maria come Grande Madre.

 All'interno del culto mariano, si ritrovano molti simboli del culto della "Grande Madre".

Maria è la "dea segreta e splendente" della cristianità occidentale, sorella delle Grandi Dee, novella donna divina dell'ordo matriarcale40.

Maria è, insomma, ciò che rimane, dopo molti secoli di elaborazioni umane, del principio femminile, dell'archetipo della Grande Madre. La sua figura si lega inevitabilmente al mistero del principio generatore della vita, ma acquista significato, nella nostra cultura, ciò che essa ha generato, ciò che è frutto del suo ventre immacolato.

La religione cristiana, subordina la Madre al Figlio, in quanto la sua nascita simboleggia fuoco e luce, è il Figlio l'epicentro della nostra religiosità e, Maria, a differenza delle sue antenate Dee onnipotenti, assume importanza poiché è il tramite terreno della venuta di Cristo. Il Femminile riconosce in se la luce generatrice come figlio proprio, e questo è un principio che ha origini antichissime. Il Figlio divino, la nascita della nuova luce divina, è un motivo ricorrente in molti culti e religioni. Basti pensare ad alcuni dei figli divini che la tradizione tramanda, come: Oro, Osiride, Elios, Dioniso, tutti simboli di luce e fuoco41. Neumann spiega che una delle rappresentazioni più antiche della Dea Madre con il figlio, risale alla metà del III millennio a.C.42. Molte divinità del passato erano famose per la loro qualità di Vergini e Madri, come ad esempio la Vergine Generatrice, antica figura di Grande Madre con la spiga di grano, una spiga aurea, simbolo del figlio luminoso, dell'oro celeste degli astri.

L'aspetto spirituale superiore, sta proprio nel principio maschile rappresentato dal figlio, che dovrebbe essere subordinato al Femminile poiché è da esso che è stato generato, ma, ha acquistato sempre più potere perché la sua è innanzi tutto una "nascita soprannaturale" e, per quanto appartenga alla sfera archetipica della Dea Vergine, che genera nella concezione matriarcale originaria attraverso lo Spirito Santo o il Grande Cerchio Uroborico, prende forza e potere da quest'evento soprannaturale, per diventarne la luce, il fulcro splendente, il principio egli stesso43.

Per concludere possiamo affermare che, il principio del femminile genera, attraverso il contatto col Dio impersonale, con l'Uroboro patriarcale, qualcosa di differente e antitetico rispetto a se, compiendo un miracolo della natura concepisce lo spirito luminoso, esperienza della forza creativa trasformatrice della Grande Madre che, si identificherà a tal punto con la sua creazione, da divenire sposa e figlia allo stesso tempo.


 

NOTE AL CAPITOLO


1 E. Neumann, La Grande Madre, Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio,Astrolabio, Roma, 1981, p. 17.

2 Ivi, p. 19.

3 C. G. Jung, Riflessioni teoriche sull'essenza della psiche, cit. in E. Neumann, op. cit., p. 19.

4 Ivi, p. 20.

5 Ivi, p. 21.

6 Ivi, p. 23.

7 c. G. Jung, L'Archetipo della madre, Bollati Boringhieri,Torino, 1990, p. 29.

8 Ivi, p. 31.

9  E. Neumann, op. cit., p. 24.

10 Ivi, p. 25.

11 Ivi, p. 28.

12 P. Rodriguez, Dio è nato donna, I ruoli sessuali alle origini della rappresentazione divina, Editori Riuniti, Roma, 2000, p. 22.

13 Ibidem.

14 E. Neumann, op. cit., p. 29.

15 Ivi, p. 34.

16 Ivi, p. 35.

17 Ivi, p. 40.

18 Ivi, p. 41.

19 Ivi, p. 52.

20 P. Rodriguez, op. cit., p. 153.

21 Ivi, p. 154.

22 Ivi, p. 155.

23 Ibidem.

24 Ibidem.

25 Ivi, p. 163.

26 Ivi, p. 165.

27 E. Neumann, op. cit., p. 97.

28 Ivi, p. 99.

29 Ivi, p. 269.

30 Giunone per il mondo latino.

31 Diana per i romani.

32 P. Rodriguez, op. cit., p. 168.

33 Ibidem.

34 Ibidem.

35 Ivi, p. 170.

36 Ibidem.

37 G. Conte, Il sonno degli dei, Rizzoli, Milano, 1999, p. 219.

38 P. Rodriguez, op. cit., p. 178.

39 G. Conte, op. cit., p. 21.

40 K. Schreiner, Vergine, Madre, Regine, I volti di Maria nell'universo cristiano, Donzelli Editore, Roma, 1995, p. 177.

41 E. Neumann, op. cit., p. 309.

42 Ibidem

43 Ivi, p. 314.

                                                                        

                                                                     Conclusioni